Molto liberamente da… Erberto Carboni
Non sarà solo il rapido formarsi dei segni sulla carta a richiamare la nostra attenzione; pure se il vedere una scrivente ribattere le tre cartelle che costituiscono queste note di commento in mezzo minuto, scandito da ronzii meccanici, è già insolito ai più. Vi è la possibilità di accedere immediatamente a vari set di caratteri in memoria, di modificarli secondo algoritmi, di usufruire di una spaziatura proporzionale, di accedere ad un numero di segni molto maggiore dei 96 convenzionali che con gli alfabeti internazionali, quelli scientifici, il teltex, e non so cosa altro ancora assommano a circa 240. Così C come Courier più gli altri citati, Square, Superegg, Gothic, et cetera, formano un capitale congiunto di circa 7000 segni, un piccolo patrimonio culturale. O forse soltanto un sostanzioso patrimonio tecnologico. I segni sono di per sè significanti? E lo sono pure a questo livello macchinale, softwaristico, di assoluta compufilia? Esistono giochi dei segni pari ai giochi di parole? Ma chi dà vita alle casse, ai torchi, alle memorie, ai set, ai segni? Non certo soltanto la consolle e neppure, oggi, lo spirito santo.
(testo originale apparso in Serigrafia n.1** – ottobre 85)