… dall’Alpi alle Piramidi…
Come erano questi caratteri egizi o protoegizi, o paleo, o meta, se vogliamo inserirli in un filone storico? Se ci riferiamo a John R. Biggs possiamo solo fare riferimento al Rockwell di cui non cita neppure l’autore, che probabilmente non godeva delle sue simpatie.
Da «A history of graphic design» di Philip B. Meggs abbiamo conferma di un egizio progettato da Robert Thorne nel 1803 nonché di un campionario caratteri di Thorowgood and Company che annovera «gli egizi». Ma già Figgins nel 1815 ne aveva disegnato alcuni.
Infine Giovanni Lussu ci ricorda, nel piacevole volumetto Farsi un libro (Biblioteca del Vascello, stampa Alternativa, Roma 1990), il Clarendon realizzato a Londra nel 1843 nella fonderia dei Caslon, il Memphis di Randolf Weiss 1929, il Karnak di Midleton di due anni più tardi, giù giù sino al meglio descritto Rockwell.
La versione più attuale delle analisi relative alla progettazione ed all’uso dei caratteri cosiddetti Egizi, è che si tratti di tipi destinati, almeno all’inzio, all’impiego commerciale.
Quindi caratteri fusi in corpi superiori o meglio intagliati nel bosso in dimensioni utili alla stampa di locandine e manifesti.
Come si sia passati dalle grazie lapidarie, da quelle segnate dalla manualità della penna, da quelle incise dal bulino estremamente raffinato, sino alla rettangolare modernità della grazia intesa come forza consimile all’asta generante, resta un piacevole misterioso escurso storico.
Perché mentre annotiamo diligenti le certe oppure incerte paternità di progettazione di intere famiglie anzi di dinastie, per questo colonialmente giustificabile Egizio non abbiamo certificati di nascita attendibili.
La priorità? Manca il grande nome, oppure abbiamo solo una grossa soluzione ad un problema tecnico di funzione. La fragilità di certe grazie non si adatta più alla potenza delle macchine da stampa che aumentano il parametro battuta-secondo.
L’arrivo del fattore temporale, nel mondo della comunicazione, è, all’inizio, apparentemente solo tecnico-trascrittivo.
Si tratta di fluidificare la scrittura ma nel contempo, si affaccerà il bisogno di trasmettere con velocità pari, poi ancora maggiore, il trascritto. Ecco che il codice di scrittura diventa un codice di trasmissione e di ricezione.
(testo originale apparso in Serigrafia n.41** – giugno 92)