La numerazione romana precedette quella cosiddetta araba, ancora in uso tra noi, distinguendosi per la sua eleganza un poco monumentale e per qualche difficoltà di calcolo, essendo priva dello zero. Al giorno d’oggi di fronte a certe lapidi, nelle quali il carattere si snoda inciso con sorprendente lievità, il lettore rimane perplesso non ricordando più quale valore assegnare alla lettera L, quale alla C, quale alla M. Un problema di leggibilità oppure di percezione, potremmo chiederci, se il termine leggibilità fosse di significato univoco. Per gli anglosassoni esiste invece una sostanziale differenza tra il giudizio di legibility e quello di readibility, quando riferito ad un carattere con in più successivi accenni alla visibilità e percettibilità. Per tagliare l’argomento, che richiederebbe molte più righe di una modesta paginetta, la leggibilità/legibility si riferisce al grado di visibilità e comprensione delle singole lettere, mentre la leggibilità/readibility coinvolge non solo la funzione di un testo (poter essere letto) ma anche la sua forma (poter essere letto ed anche positivamente valutato sul piano estetico). Tutto questo preambolo potrebbe preludere ad una discussione sul grado di leggibilità dei caratteri senza grazie piuttosto che di quelli graziati, disquisizioni che spesso hanno portato alla enunciazione di principi tanto categorici quanto castranti, nel loro non tener conto della ricerca di un giusto equilibrio tra forma, funzione, innovazione, indispensabile in ogni opera di good design. I giovani che si affacciano oggi a questa specializzazione della comunicazione visiva spinti da interessi progettuali, piuttosto che da voglia di approfondimenti storici oppure semantici, dovrebbero leggersi i poco noti (al giorno d’oggi) ma comunque esemplari (pure nel momento di new wave) quattro saggi di Karl Gerstner pubblicato dall’Arthur Niggli Verlag nel 1964 sotto il titolo «Programme entwerfen» che rimangono l’unica chiave per leggere e capire l’approccio alla progettazione della cosiddetta scuola svizzera. Ma anche per comprendere l’approccio del design milanese al type-design europeo ed i conseguenti artefatti progettuali. Poiché a monte pare che non vi sia unicamente una questione di carattere bensì, con maggiore pertinenza, una metodologia culturale.