Per i comuni mortali il Gotico è il carattere dell’Oktoberfest (quelli del Walhalla e del Parsifal sono già di un’altra categoria) ed  molto difficile che sappiano distinguere un Gotico textur da un Gotico fraktur. Volendo semplificare, riducendo tutto al colpo d’occhio, possiamo suggerire che il Textur si riconosce dalla compattezza sia nell’approccio, distanza tra lettera e lettera, sia nell’interlinea, distanza tra le righe di testo. Altra particolarità, la costruzione delle lettere entro un immaginario rettangolo verticale nel quale gli spazi bianchi hanno lo stesso spessore dei tratti neri che li hanno generati, creando un effetto positivo-negativo modulare. In effetti quel tipo di scrittura doveva essere modulare per permettere al committente, o allo stesso amanuense, di calcolare le battute, quindi gli ingombri, dunque il procedimento di impaginazione. Insomma il Gotico textur segna l’inizio di una vera industrializzazione del processo editoriale, molto prima della stampa a caratteri mobili la quale ne rappresenta la razionalizzazione. Ma a noi ciò che più incanta   questo succedersi di aste nere, assemblate secondo il ritmo delle parole, legate da fili invisibili come intenzioni, capaci di confondersi in una sorta di polifonia visiva. Poi vengono altri segni, seppur gotici anch’essi.
Quelli italiani del Rotunda, nella quale la cadenza unciale si avverte alle prime righe, quelli dello Schwabacher ancora legato alle Carolingie, quelli del Gotico fraktur che rimane forse il miglior esempio di coesistenza tra rigidità e morbidezze. Infine, come sempre accade in natura, nacquero molte forme ibride, dette appunto bastarde, alcune delle quali di grande eleganza. La littera moderna continuò con alterne fortune al di là delle Alpi, contribuendo a definire quella che potremmo chiamare la corporate identity della Riforma protestante, mentre da noi già trionfava la littera antiqua che accompagnava l’affermarsi dell’umanesimo.
Tutto forse già detto, ma repetita juvant.