Dicevamo della calligrafia come arte della bella scrittura. Tra gli esempi più probanti possiamo annoverare quanto sviluppato alla corte dei Faraoni parallelamente alla geroglifica, la scrittura ieratica, una specie di stenografia o tachigrafia, usata dalla casta sacerdotale travasatasi poi nella demotica. Una volgarizzazione che assomma e riassume tre momenti di espressione segnica. Nella scrittura geroglifica i segni imitano la forma dell’oggetto ed i caratteri derivabili sono detti mimi, nella ieratica i tropi suggeriscono per simboli concetti astratti, nella demotica i fonetici derivano dal suono iniziale. Questi tre tipi di carattere possono dirsi capostipiti dell’idea di alfabeto moderno. Però dobbiamo fare i conti con l’altro emisfero. L’invenzione della scrittura sarebbe da attribuire, secondo Confucio, all’Imperatore Cinese Fou-hi (2800 avanti Cristo) che sistematizzò l’uso di due segni elementari trasformandolo in un metodo astratto che, via via, and integrandosi nei segni pittografici sino a generare la scrittura per ideogrammi. Si ebbero così caratteri figurativi soltanto, come i Siang-hing, e caratteri ideofonetici o fonetici puri, quindi simili ai nostri, come i Kiai-ching. Ma quello che più ci incanta è la bellezza del segno orientale, ancorché incomprensibile (o forse proprio per questo), che qui abbiamo volutamente accostato ad un esempio tolto da un libro di calligrafia ottocentesca.