Il Runico fu un antico alfabeto usato da popoli scandinavi e germanici. Si dice che l’«Edda», libro di dogmi e di leggende religiose care al paganesimo nordico, sia stato scritto con quell’alfabeto. La prima copertina di quest’anno, quella col fondo nero, giocava, con il titolo della rivista ed il nome dell’autore della copertina stessa, ad una specie di seminato nel quale l’uso di colori fluorescenti avrebbe posto in evidenza certe forme geometriche. Forme elementari per sottolineare la semplicità di certi bastoni. Poi, come spesso in altre serie del passato, le lettere dell’alfabeto si sarebbero messe a letterare, a fare del lettering, a unirsi, sovrapporsi, dividersi, doppiarsi, intrecciarsi, elidersi secondo ritmi più o meno sincopati. (Ritmi sincopati? Ma chi userebbe ancora questo termine che fa rima con Alberto Rabagliati?) Le lettere si sono messe a letterare in bella vista, le carte sono state mescolate e cosa ti salta fuori dal magico cilindro di Mandrake se non proprio una runa, la più tristemente nota, la più temuta, aborrita, esecrata, combattuta runa del secolo ventesimo, la esse. Quella che raddoppiata stava per Schutz Staffeln e, tra i tanti ahinoi indovinati simboli dell’immagine istituzionale del partito nazista, sapeva imporsi per la semplice sinistra bellezza del segno. I ragazzi di oggi sanno poco di queste staffette che nate per proteggere vissero per distruggere. I ragazzi usano certi segni, o certe lettere dell’alfabeto, per enfatizzare i loro evviva ma ancor di più i loro abbasso. Un uomo politico, poi divenuto presidente emerito, quando era ministro degli interni si vide arricchito il cognome da una kappa ed un segno di esse esse. E le esse esse colpiscono ancora, come la kappa nelle scuole okkupate, durante il passaggio di certi cortei. Speriamo vi siano altre iniziali sotto le quali, o contro le quali, lottare in nome della democrazia. Ricordiamo quando a gran voce si chiedeva di dare il potere all’immaginazione, ma non certo con qualche esse e qualche kappa che si esce dall’equivoco.